di Pierluigi Castagneto, il Sussidiario, 29.9.2017
Chiuse le scuole di specializzazione per ottenere l’abilitazione all’insegnamento (Ssis) dal ministro Gelmini nel 2008, bloccati i tirocini formativi attivi (Tfa) e i percorsi abilitanti speciali (Pas) e in attesa del Fit (formazione, iInserimento e tirocinio) che dovrebbe essere attivato nel 2018, da almeno 2 anni (o forse più) è precluso ogni accesso all’abilitazione, che permetterebbe a centinaia di migliaia di docenti, molti dei quali già da tempo impegnati in supplenze annuali, di passare dalla terza alla seconda fascia delle graduatorie permanenti.
Nel frattempo i giovani (e purtroppo meno giovani) laureati italiani che aspirano alla sola abilitazione (non alla cattedra), vista la grande, ma poco efficace, infornata della cosiddetta Buona Scuola e la rigidità degli ultimi concorsi, che hanno avuto altissime percentuali di non idonei, le provano tutte. Negli ultimi anni molti sono andati in Spagna o in Romania, luoghi dove le università aprono regolarmente i percorsi abilitanti. Il Miur, anche in applicazione della Direttiva 2005/36/CE, recepita in Italia con il Decreto legislativo n. 206 del 6 novembre 2007, ha sempre accettato il riconoscimento dell’abilitazione estera. Tuttavia nel marzo scorso il direttore generale del ministero, Carmela Palumbo, firmava la direttiva 2971, con cui di fatto bloccava la validità del titolo spagnolo (ma secondo alcuni docenti non di quello rumeno), mettendo in difficoltà centinaia di laureati che per avere un’abilitazione hanno studiato la lingua spagnola a livelli medi, come il B1, si sono iscritti pagando migliaia di euro la frequenza, con in più le spese per gli spostamenti e i soggiorni. In Spagna il corso organizzato da alcune università è di alto livello, al pari di quelli nostrani e prevede in lingua spagnola un tirocinio formativo di 6 settimane in loco, 6 esami da superare in università, corsi specialistici con acquisizione di crediti formativi, numerosi elaborati preparati e inviati on line e la stesura di una tesina finale discussa in videoconferenza con la realizzazione della Defensa, ovvero un video di presentazione della medesima tesina.
Il provvedimento del Miur del marzo scorso, avendo valore immediato, ha mandato in fumo gli sforzi di un centinaio di docenti, bloccando di fatto la validità del titolo due mesi prima del conseguimento. Il ricorso al Tar del Lazio, tramite una class action, seguito dal legale della Uil scuola nazionale di Roma diviene così un’azione indispensabile per coloro che hanno visto negati i propri diritti.
Il percorso giuridico tuttavia è complesso perchè il tribunale amministrativo non ha concesso la sospensiva della direttiva del ministero dell’Istruzione e l’avvocato dei ricorrenti, solo su questo aspetto, ha presentato ricorso al Consiglio di Stato. Per ora non si è entrati nel merito e c’è il rischio che il percorso intrapreso da questi docenti si possa trasformare in una vera e propria odissea giuridica, con ulteriori passaggi sino ad arrivare ai tribunali europei.
La vicenda di questi professori (molti di loro nel corrente anno scolastico insegnano con supplenze annuali), costretti a emigrare in Spagna ed in altri paesi europei, mette in evidenza, se ancora ce ne fosse bisogno, il caos organizzativo e normativo in cui è sprofondata la scuola italiana, con riforme, assetti organizzativi, modifiche procedurali, circolari, direttive che si accavallano e spesso si contraddicono. In particolare tutti coloro che si occupano di scuola e gli stessi docenti ribadiscono come la gestione e il reclutamento del personale sia del tutto inadeguata e le successive riforme, a partire dai governi Berlusconi, per passare a quelli del centro sinistra, con Renzi e Gentiloni, abbiano complicato e non risolto il funzionamento del sistema dell’istruzione italiana.
Se poi l’ultima parola è spesso affidata ai tribunali, la partita sembra irrimediabilmente persa.
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