TuttoscuolaNews, n. 810 del 3.4.20217
– Maxima debetur puero reverentia.
Questa antica esortazione ha animato il pensiero pedagogico dell’ultimo secolo, quello che poneva il bambino, l’alunno, al centro dell’azione educativa, sia sul piano dell’alfabetizzazione culturale, sia su quello della formazione personale. Era rivolta agli adulti, in primis ai genitori, ma fu estesa anche ai docenti, come imperativo etico, per educare i giovani con l’esempio.
Sia in famiglia sia a scuola si lavorava per la crescita dei giovani attraverso la trasmissione di conoscenze e la fondazione di valori condivisi. Il tutto avveniva all’interno di una relazione che non poteva limitarsi all’esperienza, ma aveva bisogno di contenuti e strategie scaturenti da una efficace collaborazione tra le due realtà educative. L’obiettivo finale era la promozione del benessere del bambino/alunno e la costruzione di una comunità. Una situazione che per non rimanere nel campo delle utopie si è cercato di concretizzare attraverso la “partecipazione” della famiglia all’attività della scuola stessa.
La struttura formale di tale organizzazione partecipativa è rimasta inalterata da ormai parecchie decine di anni, ma le questioni interne sono molto cambiate a cominciare dalla disgregazione del senso comunitario; l’affermarsi degli interessi particolari da entrambe le parti ha fatto sì che si aprisse un conflitto e che si evidenziasse il reciproco isolamento. Oggi con le tecnologie di cui i bambini sono dotati fin da piccoli si rischia di produrre il terzo tipo di solitudine.
Le famiglie sono in crisi perché i problemi educativi, in linea con il rapido cambiamento imposto dalle questioni tecnologiche e sociali, vanno oltre le loro reali capacità di affrontarli e spesso i sensi di colpa che si attribuiscono per il poco tempo che riescono a dedicare ai figli li rendono disponibili a soddisfare qualunque loro desiderio e coprire qualsiasi tipo di mancanza, a cominciare da quelli che vengono ancora definiti i doveri scolastici.
Gli insegnanti sono sotto pressione e spesso le richieste a cui devono corrispondere sul piano istituzionale, con la prospettiva della valutazione e con quello che ne dovrebbe comportare per la loro attività presente e futura a fronte di una più competitiva meritocrazia, allentano sui contenuti della predetta massima di Giovenale, rischiando che in modi e contesti diversi siano proprio i bambini ad andarci di mezzo. Minacce, denunce, aggressioni, ricorsi, ne fanno una professione in continua tensione, gestita sulla difensiva, in attesa della tanto agognata pensione per un lavoro che si svolge in condizioni veramente usuranti. E allora?
.
Docenti e burnout/1: una professione in continua tensione ultima modifica: 2017-04-03T06:30:10+02:00 da