di Paolo Bonanno, La vita scolastica, .1.2018
– Le motivazioni e le conseguenze di una decisione che fa discutere (anche a sproposito). Che cosa accadrà ora?
Si è molto parlato nei giorni scorsi – anche a sproposito e in sedi non propriamente adeguate come, ad esempio, talk-show televisivi – della decisione adottata dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato riguardante una spinosa questione che investe numerosi aspiranti alla docenza nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria, in possesso del titolo di istituto magistrale, a seguito della quale molti di loro rimarranno gravemente delusi nelle loro aspettative. Cercherò a questo punto – approfittando di un momento di calma delle acque – di dipanare di seguito i problemi che sono legati all’applicazione di tale sentenza (n. 11/2017), soprattutto in merito alle sue motivazioni e alle sue possibili conseguenze.
Facciamo chiarezza fra le tante notizie
Un primo chiarimento in merito alle notizie spesso imprecise che sono circolate circa gli effetti della decisione: la sentenza infatti non stabilisce che il possesso del titolo di istituto o scuola magistrale conseguito entro l’anno scolastico 2001-2002 non è utile ai fini dell’insegnamento nei predetti ordini di scuola ma afferma esso che non può costituire titolo idoneo all’inserimento nelle graduatorie ad esaurimento (le famose GAE) e, quindi, a consentire l’accesso ai ruoli al di fuori delle normali procedure concorsuali.
Fatta questa doverosa precisazione vediamo su quali basi il Consiglio di Stato, nella sua più alta istanza (l’Adunanza plenaria, infatti, è composta dal Presidente del Consiglio di Stato che la presiede e da dodici magistrati del Consiglio di Stato, assegnati alle sezioni giurisdizionali, ed è chiamata a risolvere questioni di diritto di particolare rilevanza o sulle quali sussiste contrasto giurisprudenziale), ha ritenuto di stabilire un principio che contrasta in parte, con l’orientamento espresso da altri giudici amministrativi.
I precedenti
La vicenda trae la sua origine contingente da una decisione su un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, adottata con parere del Consiglio di Stato, sez. II, n. 3813 dell’11 settembre 2013, che è stati recepito con d.P.R. del 25 marzo 2014 n. 325, decisione che ha accolto parzialmente il ricorso presentato da alcuni docenti muniti di diploma magistrale conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002.
Con tale decisione era stato annullato il decreto ministeriale n. 62 del 2011, “nella parte in cui non parifica ai docenti abilitati coloro che abbiano conseguito entro l’anno 2001/2002 il diploma magistrale, inserendoli nella III fascia della graduatoria di Istituto e non nella II fascia [fascia dei docenti dotati di abilitazione – n.d.r.]”, ma senza riconoscere la possibilità degli stessi di accedere alle graduatorie ad esaurimento (graduatorie, come è noto, destinate ad assumere nei ruoli i docenti in esse iscritti), da un lato per la preclusione prevista al riguardo dalle norme vigenti, e comunque per la tardività dell’impugnativa del diniego, derivante dal regolamento, della possibilità di inserimento degli stessi nelle predette graduatorie.
Sulla base di questa pronuncia molti docenti in possesso del titolo di studio abilitante hanno ritenuto di poter avviare una nuova vertenza, impugnando il decreto ministeriale n. 235 del 2014 che disponeva l’aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento (GAE) relativamente ai docenti che in esse erano già iscritti. L’iniziativa ha avuto in parte successo: il decreto è stato annullato, limitatamente all’interesse vantato dai ricorrenti diplomati magistrali, nella parte in cui non consentiva l’inserimento di questi ultimi nelle GAE (in proposito Cons. Stato, Sez. VI, 16 aprile 2015, n. 1973, ed altre sentenze ad essa successive e conformi, che hanno ribadito il valore abilitante del titolo magistrale ed hanno riconosciuto la tempestività dell’impugnativa).
Un conflitto di giurisprudenza
Non tutti i giudici amministrativi, tuttavia, hanno ritenuto di uniformarsi a questo orientamento. Altri docenti muniti del diploma di maturità magistrale conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002 hanno presentato ricorso al T.A.R. per il Lazio alla fine del 2014 chiedendo l’annullamento del D.M. n. 235 del 2014 e degli atti conseguenziali, chiedendo in conseguenza al giudice di riconoscere il diritto all’inserimento nelle GAE sulla base del possesso del predetto titolo di studio; ma in questo caso il T.A.R. ha respinto nel merito l’impugnativa. Ed è a questo punto che, essendosi creato un conflitto di giurisprudenza, il Consiglio di Stato, con ordinanza della VI sezione n. 364 del 29 gennaio 2016 – investita dell’appello contro la decisione del TAR del Lazio – decise di rimettere la questione all’Adunanza plenaria, che ora si è pronunciata con l’ormai nota sentenza e con esito sfavorevole ai ricorrenti.
Alle origini: le “graduatorie permanenti”
Se questa è la storia recente della questione – e tra breve approfondirò le motivazioni della decisione del Consiglio di Stato – si deve ricordare che la questione ha un origine ben più lontana, risalendo alla legge che, in uno dei tanti – falliti – tentativi di risolvere il problema del precariato nella scuola statale, istituì quelle che allora si denominarono “graduatorie permanenti”, nella quali inserire gli aspiranti alla docenza nei vari ordini di scuola in possesso di determinati requisiti.
La legge alla quale mi riferisco è la legge 3 maggio 1999, n. 124, che decise di dare, appunto, una strutturazione permanente ad un sistema – già peraltro esistente – di accesso ai ruoli di natura duale: da un lato il concorso ordinario e dall’altro, appunto, speciali graduatorie nelle quali – dopo un periodo di transizione – dovevano essere inseriti coloro che, avendo partecipato ad un concorso ordinario, non avessero ottenuto, nel periodo di validità della graduatoria concorsuale, l’immissione in ruolo.
Nella fase transitoria – e qui, sintetizzando, andiamo all’origine del problema che ha portato alla conclusione della vicenda su cui la sentenza 11/2017 potrebbe aver fornito una parola definitiva – la norma aveva previsto, per quanto riguarda i docenti della scuola elementare, un requisito anomalo rispetto a quello richiesto ai docenti degli altri ordini che fossero già in possesso dell’abilitazione: infatti, pur essendo essi in possesso, in virtù di quanto prescritto dalla normativa all’epoca vigente, di un titolo di studio pienamente abilitante (tale, infatti, era il titolo rilasciato storicamente dagli istituti magistrali) si prevedeva che dovessero sottoporsi, al fine dell’inserimento nelle istituende graduatorie permanenti, ad un ulteriore adempimento, conseguendo – attraverso uno specifico corso speciale – una “idoneità”, che costituisse requisito necessario per ottenere tale effetto. Richiesta certamente anomala, che politicamente era nata dall’esigenza di equiparare i percorsi abilitanti dei vari docenti: infatti per l’insegnamento nella scuola materna e nella scuola secondaria sia di primo che di secondo grado, l’abilitazione si otteneva dopo il conseguimento di un titolo di studio e al termine della partecipazione ad una procedura concorsuale selettiva.
In sostanza si ritenne che il solo titolo di studio, pur pienamente abilitante, per legge, all’insegnamento nella scuola elementare, non potesse essere riconosciuto di per sé come titolo utile per essere inseriti nelle graduatorie ad esaurimento, ancorché avesse consentito agli interessati di svolgere regolarmente il loro insegnamento con rapporti di lavoro a tempo determinato: di qui l’istituzione di quei richiamati corsi speciali per il conseguimento di una “idoneità”, che tuttavia non aveva alcun senso dal momento che il requisito fondamentale per accedere alle graduatorie permanenti era costituito dal possesso dell’abilitazione all’insegnamento. Comunque questo fu il volere del legislatore del 1999 che, debbo dire, non trovò in quel momento, una forte opposizione da parte degli stessi interessati.
Nessuno prese in considerazione, inoltre, quanto era derivato dalla intervenuta soppressione, a decorrere dall’anno scolastico 1998-1999, dei corsi di studio ordinari triennali e quadriennali, rispettivamente della scuola magistrale e dell’istituto magistrale, in attuazione delle norme che imponevano l’istituzione di corsi universitari specifici per il conseguimento dei titoli utili: le norme che hanno disposto tale soppressione, infatti, avevano anche disposto che i titoli di studio conseguiti al termine dei corsi triennali e quinquennali sperimentali di scuola magistrale e dei corsi quadriennali e quinquennali sperimentali dell’istituto magistrale, iniziati entro l’anno scolastico 1997-1998, o comunque conseguiti entro l’anno scolastico 2001-2002, conservassero in via permanente il valore legale posseduto al momento dell’intervento normativo (in particolare con il DM 10 marzo 1997) e consentissero di partecipare alle sessioni di abilitazione all’insegnamento nella scuola materna, nonché ai concorsi ordinari per titoli e per esami a posti di insegnante nella scuola materna e nella scuola elementare e comunque di insegnare a pieno titolo.
Dunque al momento in cui si diede avvio alle nuove forme di reclutamento del personale docente, e in particolare alla istituzionalizzazione delle graduatorie per titoli attribuendo loro carattere permanente, i titoli di cui si parla consentivano di conservare, e di conseguire fino all’anno scolastico 2001-2002, in via permanente, il valore direttamente abilitante per l’insegnamento nella scuola elementare (titolo di istituto magistrale) e di partecipare ai concorsi abilitanti all’insegnamento nella scuola materna (anche i titoli rilasciati dalle scuole magistrali).
Tutto questo, come detto, non venne ritenuto sufficiente per riconoscere il diritto dei possessori del titolo abilitante di istituto magistrale ad essere inseriti nelle graduatorie permanenti, sulla base di una scelta politica già illustrata, e sinceramente discutibile.
Un lungo silenzio deleterio
Il lungo silenzio sulla questione purtroppo è risultato alla fine – ed è questo che viene affermato dalla decisione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato – deleterio per condurre a buon fine le azioni giurisdizionali avviate da parte degli interessati. La sentenza 11/2017, in sostanza, ha basato le sue motivazione su due elementi:
- la tardività della manifestazione dell’interesse dei ricorrenti, i quali, pur in possesso del titolo magistrale sin dall’a.s. 2001/2002, non avevano mai fatto richiesta di essere inseriti prima nelle graduatorie permanenti e quindi nelle GAE, partecipando alle apposite selezioni via via indette dall’Amministrazione;
- in secondo luogo la mancanza di una norma positiva che riconoscesse al diploma magistrale il valore di titolo che legittimasse la richiesta degli interessati di essere inseriti nelle graduatorie ad esaurimento.
L’annullamento dell’atto lesivo in sede di ricorso straordinario, di cui ho parlato, non poteva, secondo il giudizio dell’Adunanza plenaria, avere l’effetto di rimettere in termini tutti coloro che non avevano impugnato nei termini di decadenza i provvedimenti di esclusione o, addirittura, non avessero presentato neanche una tempestiva domanda di inserimento. L’efficacia abilitante (ai fini dell’inserimento nelle graduatorie permanenti prima e ad esaurimento poi), del diploma magistrale conseguito entro l’a.s. 2001/2002 avrebbe dovuto essere fatta valere dagli interessati, innanzitutto attraverso la presentazione di una tempestiva domanda di inserimento e, in secondo luogo – a fronte del mancato inserimento – mediante la proposizione nei termini di decadenza del ricorso giurisdizionale.
Che cosa accadrà?
Cosa potrà avvenire ora in particolare nei confronti di coloro che, avvalendosi delle pronunce cautelari o di merito non definitive, hanno conseguito l’assunzione a tempo indeterminato?
L’indirizzo dell’Adunanza plenaria non ha sicuramente un effetto immediato: i ricorrenti che sono stati destinatari di provvedimenti cautelari favorevoli manterranno comunque la loro posizione giuridica almeno fino al momento in cui non intervenga una decisione di rigetto della domanda giudiziale che si adegui, quindi, a quanto statuito dalla sentenza 11/2017. Pertanto tutti i docenti che sono stati assunti con contratti di lavoro sia a tempo determinato che a tempo indeterminato continueranno a svolgere la loro attività.
Una volta che i giudici di merito si siano pronunciati respingendo i ricorsi proposti l’amministrazione dovrà procedere alla risoluzione dei rapporti di lavoro in corso, ed è quindi necessario che si trovi tempestivamente una soluzione di natura legislativa, che non sarà comunque agevole approvare: si tratterebbe di una sanatoria che lascerebbe impregiudicata la posizione di tutti coloro che, in possesso dei medesimi titoli, non avevano avviato un’azione giudiziaria. E ancora una volta si rischierebbe di creare la creazione di categorie di “figli e figliastri”, che sarebbe foriera di ulteriori odiose controversie che vedrebbero l’un contro l’altra armate persone che si trovano in condizioni analoghe.
Vedremo se questo ulteriore capitolo della lunga storia del precariato docente riuscirà ad avere una soluzione che soddisfi tutte le aspettative. Intanto risultano già rilanciate iniziative volte a portare il contenzioso in sede europea, e quindi facilmente la questione rimarrà aperta ancora a lungo, considerati i tempi di risoluzione di questo tipo di vertenze. Ci saranno, quindi, probabilmente nuovi risvolti di questa interminabile vicenda.
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